SpiritoDiVino087
SPIRITO diVINO 8 ( IL CONTRAPPUNTO ) La protezione memorabile dell’Aglianico del Taurasi U n paio di mesi fa, nel mezzo di uno psico- dramma da patria impazzita, mi è capitato, a caso (ma esiste mai il caso?), di trovarmi davanti a uno splendido vino che sembrava raccontare tutt’altro del nostro Paese. Sono così riuscito a salvarmi dalla deriva circostante, vivendo una completa scissione verso quanto osservavo e ascoltavo dagli schermi di una comune casa di città. Televisori, com- puter, telefonini, dirette facebook e tweet raccapriccianti. Avevo fortunatamente davanti a me la stabilità e la bellezza di un rosso solido, sincero, diretto. Con dentro di sé la fer- mezza, lo studio, la serietà, il lavoro che ricuce in ogni anno i lasciti del più lontano passato di questo nostro territorio. Le note di rocce e pomice a raccontare di antiche colate la- viche, di strati minerali che hanno soffocato piante e vite, ma lasciano emergere ora un frutto profondo con la sobria purezza di marasche e vaniglie, sottobosco e spezie, tabacco e fumo, petali e pellicce. Una summa di flora e boschi e una forza, un ingegno di fatica silenziosa, contadina, che non media, né strizza l’occhio, richiede anzi l’impegno a capirne il mondo di aromi, le vicende sue e nostre, che ci accomuna- no in una sempiterna verità di drammi e risalite. Aggrappato alla dignità di questa storia non effimera, sono riuscito dunque a separarmi dalla straniante dina- mica esterna di piroette, insulti e codici da teatranti che vagavano nell’etere. Moine senza pudore, accuse di tradi- mento che poi si negavano subito dopo, maschere surreali di capi senza conoscenza, grottesche o drammatiche, ma sicuramente mai serie, che alla fine sorridevano ammic- canti, promettendo melasse e retorica. Mi sono protetto con memorabili bottiglie di Taurasi. Perché di questo vi- no sto parlando, superbo, integro, quasi fosse frutto di un altro paese e di un altro mondo. Da vigne anche centena- rie nell’aerale di Castelfranci, poste intorno ai 500 metri di altitudine, piene di luce, dove il lungo fresco notturno corrobora dalle calure estive i suoi grappoli di Aglianico, vendemmiati mai prima di novembre. È stata una sequen- za partita dalla 2003 e giunta fino alla 2008, vendemmia questa che verrà posta in commercio in autunno, dieci an- ni dopo la raccolta dei grappoli. Ma è un tempo che a un vino di tale profondità occorre tutto e che conferma come la verità sia spesso assai lenta e abbia bisogno di spazi, di inabissamenti e soste per farsi scoprire nella sua essenza di non semplice faciloneria e frasi fatte. Questi vini possedevano un ordine forte di tannini e acidi- tà, come un decumano scandito, che era appunto il lavo- ro dell’uomo che sottrae i prodotti della natura dal caos, dal selvatico, dal deperimento, dando loro una direzione, un’estetica e rendendoli un unicum in ogni diversa ven- demmia. L’Aglianico appunto non è un vino semplice, né immediato, c’è dentro di lui un passo remoto, un retroter- ra profondo che va plasmato. La Riserva 2003 e la 2006 ne hanno rappresentato l’espressione più monumentale e tra- boccante. Sul suo ordito si distendevano sontuosi strati di ciliegie e alcol, glicerine e spezie, catrami, fumo, essenze, dando anche la dimensione di un rosso che può esprimersi compiutamente solo a 20-30 anni di età. La 2004 e la 2008 (che non erano nella versione Riserva, sempre più folta e grassa) apparivano come un elegante edificio di più lineare fierezza. Proprio perché più essenziali, erano assai crudi, minerali, severi, ma al tempo stesso lunghissimi, suggesti- vi, svettanti, carichi di echi e infinite sfumature. La Riser- va 2007, infine, conteneva in sé entrambi questi aspetti e la loro intelaiatura di verità sequenziali, con una origina- lissima acutezza minerale di rocce bagnate su grassezza di frutto, sottobosco, goudron e un’energia dalle infinite pos- sibilità evolutive. L’autore di questi memorabili vini, mai casuali, è Michele Perillo, con i suoi figli. di Luciano Di Lello
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